Posizionamento sui motori di ricerca gratis, posizionamento sui motori di ricerca SEO, primi nei motori di ricerca. Se stessimo scrivendo questo articolo per ottenere il suo posizionamento sui motori di ricerca con un incipit del genere ci saremmo già conquistati la vetta di Google. O almeno questo è ciò che sembrano pensare moltissimi brand: per rendersene conto basta fare un giro online e leggere qualche blog.
Un buon posizionamento sui motori di ricerca è la terra promessa di qualsiasi imprenditore. Per propiziarselo i marchi sono disposti a tutto, ivi compreso il pubblicare sul proprio sito articoli veramente indigesti, costruiti su una sfilza di parole chiave che, ficcate nelle frasi a forza, non restituiscono nemmeno il senso logico del discorso.
Ma è davvero a questo che si riduce la così detta scrittura in ottica SEO?
Uomini e keyword
Quando nel decennio 1999-2009 i principali motori di ricerca affinarono le proprie tecniche di indicizzazione si iniziò a parlare di SEO, cioè, appunto, di ottimizzazione per i motori di ricerca.
Chi scriveva per il web temeva che il suo lavoro si sarebbe trasformato in una noiosa ubbidienza ad una serie di regole algebriche, pardon, algoritmiche. I giornalisti si sentivano già tagliati fuori perché, abituati a una scrittura più libera, non se la sentivano di piegare la parola al posizionamento sui motori di ricerca, di sacrificare la spontaneità sull’altare del page rank.
I webmaster più evoluti iniziarono a sviluppare tecniche di manipolazione del posizionamento: all’inizio si trattò di una guerra di link (perché i primi browser funzionavano come una directory di link, come nel caso di Archie), poi di una guerra di keyword.
Ma dopo questi iniziali fraintendimenti fu Google stesso a chiedere di scrivere per il web “come se Google non esistesse”. Google e anche tutti gli altri motori di ricerca come AltaVista, Yahoo! e Lycos decisero di rendere i propri algoritmi sempre più complessi e in questo perfezionamento continuo dei parametri alla fine fu Mountain View a primeggiare.
La verità è che, fin dall’inizio, scrivere per il web non è mai stato scrivere per il posizionamento sui motori di ricerca ma per i naviganti. Sono infatti le persone a premiare un contenuto: se lo trovano interessante lo rileggono, lo segnalano ad altri, decidono il destino della sua visibilità.
Questo approccio umanista non identifica solo il pensiero dei laureati in lettere che si sono ribellati a una scrittura sterile e vuota, ma anche quello degli stessi motori di ricerca. I loro algoritmi si sono infatti sempre più evoluti nel senso di premiare i contenuti che piacciono alle persone. Ovvero testi ben scritti, scorrevoli, originali, esaurienti.
I blog di oggi non sono però quelli dei primi anni del 2000. Se prima il blog era un riflesso digitale del diario segreto (non più segreto), oggi a scrivere sono soprattutto i brand e lo fanno per ottenere un risultato ben preciso, anzi un insieme di risultati. Posizionamento sui motori di ricerca, ma anche rafforzamento dell’identità di brand e della conoscenza della marca. Tutti poi confluiscono verso lo scopo finale, la conversione.
Ecco perché la scrittura in ottica SEO conta molto, e deve tenere conto di alcuni parametri.
Regole e miti del posizionamento sui motori di ricerca
La scrittura per il web è strutturata, ha le sue regole. E per ognuna c’è il suo contrario, cioè una fila di consulenti SEO che la minimizza o la relativizza.
Per esempio si dice che un buon posizionamento sui motori di ricerca sia favorito da contenuti molto lunghi, ma c’è anche chi sostiene, a ragione, che il punto è semmai quanto quel testo abbia la capacità di rispondere esaurientemente alla domanda posta dall’utente. Insomma, se con 500 parole dico tutto quello che c’è da dire sui compro oro Roma, perché sforzarmi di dirlo in 1.000 parole ed annoiare nel frattempo il lettore, giocandomi, tra l’altro, la sua attenzione?
Tornando al giochetto con cui ho iniziato questo articolo, infarcire un testo di parole chiave non è che sia inutile, è solo che oggi il posizionamento sui motori di ricerca dipende da molto, molto altro.
Il machine learning di Google è talmente evoluto (ci hanno investito parecchio) che l’algoritmo non lo puoi fregare: sa capire perfettamente come le parole sono collegate tra loro dentro al testo, dunque distingue le parole chiave inserite senza senso o il loro ridicolo eccesso. Un esempio nell’immagine che segue.
È sbagliato pensare che dalla keyword density dipenda la fortuna di un articolo di blog, ma è anche vero che se la ricorrenza della parola chiave ha la stessa frequenza di un albero nel deserto c’è un problema. Questo vale particolarmente per le prime parole del testo, titoli compresi.
Il posizionamento sui motori di ricerca tiene conto in particolare delle prime righe ed è quindi importante che non solo le keyword ma anche i concetti stessi dell’articolo siano anticipati fin da subito.
Il modello di riferimento del motore di ricerca e delle persone qui confluisce ed è quello della piramide rovesciata: ciò che conta per comunicare bene è iniziare dalla base e prendersi lo spazio successivo per approfondire ed inserire i dettagli.
Ma come coniugare la necessità di un ritmo armonico e una lettura scorrevole con la noiosa ricorrenza delle stesse parole? Come evitare un effetto artificioso? È su questo terreno che si distingue uno scrittore capace da chi, facendosi passare per “professionista della scrittura in ottica SEO”, consegna al committente un articolo del tipo Vendiamo umidificatori per sigari personalizzati.
Luisa Carrada nel suo “Il mestiere di scrivere” suggerisce al bravo scrittore -o a chi ambisce al titolo- di lavorare sul lessico ancor prima di mettersi a scrivere, realizzando una mappa lessicale dei termini naturalmente e spontaneamente collegati alla keyword. Così facendo il testo risulterà arricchito, pieno di riferimenti, soddisfacente per il lettore e per il posizionamento sui motori di ricerca.
È facile? No, e richiede tempo. L’elaborazione di un testo bello da leggere, non banale (quindi uguale a mille altri) e così ben strutturato, che tenga conto della gerarchizzazione dei contenuti in titoli, sottotitoli e paragrafi con diversi livelli di profondità è un lavoro da professionisti.
Quindi, caro imprenditore che ci leggi, non puoi risparmiare su questo e non puoi chiedere al tuo collaboratore di compiere l’impresa in un paio d’ore.
Un’altra leggenda della scrittura in ottica SEO è quella secondo cui sarai ben indicizzato su Google se metti la parola chiave nel titolo. L’approccio è corretto ma qualcuno cerca di vincere facile: non puoi usare la keyword nel titolo se poi il testo che segue parla di tutt’altro!
E bisogna anche considerare che in un articolo scritto male, che Google non considera abbastanza approfondito o competente, il tag title viene comunque ignorato. A cosa serve allora attirare il click se poi l’utente, che non ha trovato un contenuto in linea con la sua ricerca, scappa subito? A due cose: ricevere penalizzazioni sulla SERP e fare una brutta figura.