Se segui Wezed da qualche tempo o semplicemente ti è già capitato di imbatterti in uno dei simpatici, superbrillanti e supermodesti articoli del nostro blog, avrai capito che ci piacciono i libri di marketing. Cioè, ci piacciono i libri in generale, perché il nostro lavoro è fatto di studio e costante aggiornamento, ma soprattutto ci amiamo i libri di settore e amiamo citare le parti più interessanti e significative di quei libri. Ecco perché inizieremo questo articolo dedicato al naming aziendale citando un episodio raccontato nel volume Neuromarketing applicato, firmato dal bravissimo Giuliano Trenti e recentemente pubblicato da Hoepli.
L’autore racconta un caso vissuto in prima persona nell’ambito di una consulenza per un’impresa di notevoli dimensioni. L’incarico prevedeva anche la valutazione dell’efficacia di alcune scelte aziendali, e fra queste c’era proprio quella del naming di una linea di prodotti, alla quale era stato dato un nome del tutto inappropriato. Per confermarne l’inadeguatezza anche da un punto di vista neuroscientifico, il nome venne sottoposto ad appositi test. Le ricerche condussero a risultati inequivocabili: la disponibilità a pagare il prodotto in questione era del 40% inferiore rispetto a quella mostrata per un prodotto senza nome. In altre parole, le persone erano il 40% più disponibili ad acquistare un prodotto senza nome piuttosto che il prodotto con il nome sbagliato.
Un esempio semplice ma al contempo straordinariamente indicativo di quanto il nome di un’azienda, di un servizio, di un prodotto o di una linea di prodotti sia a tutti gli effetti una delle variabili più importanti da considerare nel prevederne e nel decretarne il successo.
Brand naming: una raccomandazione
Ora, appurato che quella del brand naming rappresenta una fase decisiva all’interno di una più ampia e articolata strategia di branding, è venuto il momento di capire come farla fruttare al massimo. E la prima raccomandazione (lo sappiamo, fa molto “genitore premuroso”, però sì, è a tutti gli effetti una raccomandazione, per giunta importantissima) è la seguente: non lasciarti fregare dal solito “a me piace questo quindi voglio usare questo”. Lo diciamo perché, per esperienza, sono in tanti a cascarci. È normale, intendiamoci. Le considerazioni istintive che vengono fatte in questi casi, infatti, sono sempre le stesse:
“Vabbe’, il brand è mio e decido io come si chiamerà!”
“L’azienda è mia e il nome deve innanzitutto piacere a me!”
Mmm, no. Il nome deve innanzitutto piacere ai clienti. Il nome deve innanzitutto piacere al mercato. Deve possedere le caratteristiche necessarie a ritagliarsi il giusto spazio nella mente e nella vita delle persone che compongono – anzi, in questo caso, che comporranno – il target del tuo prodotto o del tuo servizio. Magari non tutte, ma la maggior parte. Con questo, ovviamente, non vogliamo dire che non debba piacerti. Certo che deve piacerti. L’importante è che il tuo gradimento non sia la priorità. Quando si parla di marketing e di business, la priorità dev’essere data a ciò che funziona. Se poi questo incontra anche il nostro gusto soggettivo, tanto di guadagnato.
Tipi di brand name
Andiamo ora un po’ più sul tecnico. I possibili nomi di un brand vengono di solito suddivisi in alcune categorie universali, basate sulle caratteristiche a cui si intende dare maggiore rilevanza al momento della scelta. Vediamoli tutti.
Nome descrittivo
Il nome del brand si definisce descrittivo quando contiene in sé la pura e semplice descrizione del prodotto o del servizio che l’azienda offre. Ti sembra strano? Proprio non ti viene in mente alcun esempio? Niente niente? E se ti dicessimo… PosteItaliane? Sì, è un brand a tutti gli effetti. Così come Noicompriamoauto.it o Volagratis. Il nome dice tutto. Con un brand name descrittivo si rischia di apparire poco originali, è vero, ma la chiarezza implica memorabilità. E quando si parla di nomi, risultare memorabili è uno dei massimi traguardi che si possano raggiungere.
Nome proprio di persona (cioè del fondatore)
Probabilmente una delle categorie che conta più esempi in assoluto. Alcuni ti saranno già venuti in mente: Barilla, Ferrero, Gucci, Versace, Armani, Chanel, McDonald’s (la catena fu creata da Ray Kroc, ma a mettere su il primo locale furono i fratelli Dick e Mac McDonald) e chi più ne ha più ne metta. Si tratta di una soluzione che presenta il vantaggio di essere rapida, intuitiva e in alcuni casi (in cui il suono del nome risulti melodioso e armonicamente adeguato al contesto) anche molto efficace. Di contro, non può certo definirsi una soluzione originale, né sufficiente a comunicare di cosa il brand si occupi o a dare indicazioni sul suo posizionamento.
Nome inventato
Chiaramente non è sempre necessario partire da elementi conosciuti e tangibili per creare il proprio brand name. Anzi, il nome inventato può rivelarsi vincente sotto molti aspetti, primo fra tutti la disponibilità del relativo dominio e del marchio da registrare. E, se inventato come si deve, ovvero nel rispetto di quelle caratteristiche imprescindibili a cui accennavamo prima e che fra poco vedremo nel dettaglio, può contribuire attivamente alla viralità del brand e della proposta che esso rappresenta.
Sigle e acronimi
Te ne verranno in mente a decine. Giusto per riportare qualche esempio: BMW, IBM, FIAT, HP, MTV. Scegliere una sigla presenta lo stesso vantaggio di immediatezza offerto dal nome proprio del fondatore, ma conseguentemente anche gli stessi rischi. Può infatti apparire freddo, ed impone quasi sempre l’utilizzo del nome per esteso come payoff (il breve slogan associato al logo del brand, il Just do it di Nike, per intenderci).
Nome evocativo
Ah, a proposito, Nike. Un esempio di brand name evocativo, ovvero in grado di evocare nella mente del target un concetto o una sensazione conosciuta, che finirà per identificarlo. Ora, a dire la verità il nome Nike è frutto di un’ispirazione… onirica: il termine apparve in sogno a uno dei collaboratori del fondatore, che lo scelse comunque per il chiaro riferimento alla vittoria. Stesso effetto per Amazon, nome che Jeff Bezos scelse per evocare l’imponenza del Rio delle Amazzoni, non tanto relativa alla sua lunghezza quanto alla sua portata. Una scelta che, con il senno di poi, potremmo definire incredibilmente azzeccata. Se la cava il buon Jeff, non trovi?
Naming aziendale: le caratteristiche imprescindibili
È ora invece il momento di approfondire le caratteristiche che il nome di un brand deve possedere affinché possa definirsi efficace. La premessa è sempre la stessa: si parla di parametri oggettivi che vanno sempre e comunque valutati in modo neutrale, distaccato, slegato da quelli che possono essere i gusti personali di chi è chiamato a decidere. Anche perché c’è una considerazione importante che va sempre fatta in merito al mi piace/non mi piace. Ma preferiamo suggerirtela alla fine dell’articolo. Ora, le quattro caratteristiche. Sì, quelle fondamentali sono solo quattro.
Brevità
Supercalifragililistichespiralidoso è l’eccezione che conferma la regola. La regola, invece, è che la brevità di un nome favorisce la sua memorabilità. E in termini di posizionamento, essere facilmente memorizzabili equivale ad avere non una, ma circa 6 o 7 marce in più.
Memorabilità (Pronunciabilità + Comprensibilità)
Ecco, per l’appunto. Vale quello che abbiamo appena detto, ma aggiungiamo un fattore decisivo: oltre ad essere breve, il nome del brand deve risultare pronunciabile e comprensibile, cioè deve poter essere comunicato e afferrato velocemente.
Distintività
Speriamo che esista questa parola. In ogni caso, come puoi ben immaginare, ingrediente principale del successo di un nome è il suo essere unico, il suo sapersi distinguere istantaneamente non solo da quello delle aziende concorrenti, ma da quello di ogni altra azienda in generale.
Disponibilità
Anche questa è facilmente intuibile, ma spesso sottovalutata: il nome deve essere disponibile, sia in termini di registrazione del marchio che in termini di dominio (l’indirizzo del relativo sito web aziendale).
Affronta la fase di brand naming con Wezed, la tua agenzia marketing Roma
Sempre nel caso in cui tu abbia già letto qualche nostro articolo, dovresti sapere che non apprezziamo particolarmente questi paragrafetti finali in cui di norma ci si spaccia come la migliore “agenzia marketing Roma” e in cui si sacrifica la grammatica italiana sull’altare della SEO. Preferiamo concludere i nostri articoli con qualche bella frase a effetto, qualche considerazione utile o – nei giorni in cui ci sentiamo più ispirati – con un perspicace mix di entrambi.
Oggi è la volta del perspicace mix di entrambi. Ti avevamo promesso infatti, qualche riga fa, una considerazione finale importantissima riguardo alla solita storia del mi piace/non mi piace. Ecco, nel marketing, o meglio, nel marketing efficace, non esiste il mi piace o il non mi piace. Esiste il funziona o il non funziona. E a stabilire il funziona o il non funziona non sono sensazioni e opinioni soggettive, ma test, ricerche e competenze.
Il brand name deve prima di tutto funzionare, vale a dire essere giudicato funzionale da professionisti del settore. Poi, e solo poi, deve piacerti. Anche perché – ed è questa la considerazione che vogliamo suggerirti – nel momento in cui lo vedrai funzionare, ossia quando lo sentirai pronunciato da clienti paganti, fidati, inizierà a piacere anche a te.