Il priming nel marketing: stimoli adeguati per risultati eccellenti

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27 Marzo 2020

Facciamo un gioco.
Leggi queste parole una ad una, poi riempi mentalmente le caselle per formare la prima parola che ti viene in mente.

Pizza
Panino
Torta
Snack
Gustoso

F_ _ E

Okay, vediamo.
Hai riempito le caselle vuote con le lettere A e M.
Hai pensato, cioè, alla parola FAME.

E con buona probabilità il pensiero è stato accompagnato da un’improvvisa e apparentemente ingiustificata voglia di mettere qualcosa sotto i denti.

Complimenti, hai appena razionalizzato uno dei fenomeni che influiscono silenziosamente sul nostro pensiero e sui nostri comportamenti, ma di cui tutti – o quasi tutti – siamo inconsapevoli: il priming.

Ora lo hai sperimentato in una delle sue dimensioni più semplici, quella legata all’associazione semantica, ma fenomeni di priming avvengono nella tua mente – e in quella di tutti gli altri esseri umani del pianeta – in continuazione e con intensità differenti.

Alla base del priming: il meccanismo associativo

Per comprendere bene il funzionamento dell’effetto priming (a proposito, priming sta per “innesco”) occorre innanzitutto conoscere un meccanismo importantissimo con cui la nostra mente si rapporta alla realtà: il pensiero associativo.

In breve: le idee e i concetti ci vengono in mente per associazione. Ogni idea evoca altre idee ad essa associate, in modo rapido, automatico e spontaneo. Non possiamo desiderare o impedire che questo accada. Accade e basta.

Questa dinamica viene definita “attivazione associativa”. Le connessioni possono riguardare un effetto (stufa → calore), una proprietà (limone → giallo) o una categoria di appartenenza (gelsomino → fiore). Un’idea attiva un’altra idea, che a sua volta ne attiva un’altra e un’altra ancora e così via, fino a creare la vasta rete associativa che fa da sfondo alla nostra interpretazione della realtà.

Su questo meccanismo si basa il priming: l’esposizione a un certo stimolo influisce sulla risposta a stimoli successivi.
E non si parla solo di stimoli semantici – come il caso delle parole che hai sperimentato prima – ma anche concettuali o percettivi.

Il priming nelle nostre vite

E se ti dicessi che il priming potrebbe condizionare anche il mondo in cui ti muovi?

In uno studio del 1996 lo psicologo John Bargh e i suoi collaboratori provarono che l’esposizione ad una serie di parole collegate agli anziani, come “grigio”, “smemorato”, “ruga” o “Florida” (la Florida è lo stato dove si trasferiscono molti pensionati degli Usa) riusciva a rallentare i movimenti dei partecipanti nello spostarsi da una stanza all’altra dopo aver finito l’esperimento.

Dieci anni dopo, un altro studio tedesco dimostrò che l’effetto ideomotorio era valido anche al contrario: ad alcuni studenti venne chiesto di rallentare i propri movimenti fino a muoversi ad un terzo delle velocità normale. Successivamente, gli stessi studenti impiegarono molto meno tempo del previsto per riconoscere parole legate alla vecchiaia.

Altri esempi di effetti comprovati? Gli stimoli riguardanti il denaro ci rendono più indipendenti, ma anche più egoisti e più distaccati. Stimoli legati a figure autoritarie influiscono negativamente sul pensiero spontaneo e sull’azione indipendente.

Insomma, tutti i segnali che arrivano dall’ambiente circostante modificano il modo in cui pensiamo e ci comportiamo.

Molti non riescono a crederci, ed è normale: siamo razionalmente convinti di esercitare il massimo controllo sulle nostre scelte.

Anche se la realtà ci dice che sappiamo su noi stessi molto meno di quanto crediamo di sapere (questa è presa in prestito dal grande Daniel Kahneman).

Priming e marketing

Puoi quindi ben immaginare, dopo quello che ci siamo detti fin qui, come basti essere sovraesposti a un determinato messaggio pubblicitario perché questo influisca sul nostro comportamento.

Lo psicologo Robert Zajonc, partendo da considerazioni di questo tipo, arrivò a dimostrare il fenomeno che lui stesso definì “mera esposizione”: all’aumentare della frequenza di un dato stimolo, aumenta anche il grado di apprezzamento del pubblico verso di esso.

In termini di marketing studi del genere confermano l’importanza delle strategie finalizzate alla brand awareness, vale a dire alla creazione di consapevolezza nei confronti dell’azienda.

E più in generale, è evidente come il concetto di mera esposizione sia legato alla necessità di una potente presenza digitale delle imprese di piccole, medie e grandi dimensioni.

Potente e soprattutto strutturata come si deve.

Già, perché Zajonc dimostrò anche un altro effetto della mera esposizione: il massimo apprezzamento si raggiunge entro un dato numero di esposizioni. Se l’esposizione supera certi limiti, il grado di apprezzamento inizierà a ridursi alla stessa velocità con cui è aumentato. Non solo: se lo stimolo viene ritenuto poco gradevole, la mera esposizione non farà altro che renderlo sempre meno gradevole agli occhi dei clienti.

Traduzione: muoversi da soli sul web non solo non produce buoni risultati, ma può compromettere quelli che hai già raggiunto.

Traduzione 2: per ottenere risultati eccellenti, l’esposizione dei potenziali clienti alle tue offerte e ai tuoi contenuti deve essere organizzata con strategia e competenza.
Devi mostrare la tua proposta nel momento giusto e alle persone giuste.

Ecco perché nei piani marketing personalizzati che realizziamo gratuitamente per le aziende, assegniamo alla brand awareness e alla creazione di una custom audience (un pubblico personalizzato funzionalmente agli obiettivi dell’azienda) un ruolo specifico e rilevante.

Perché non basta farsi vedere spesso dai tuoi clienti.
Conta soprattutto farsi vedere bene.

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