I sale funnels o marketing funnels sono percorsi digitali con cui le aziende guidano gli utenti verso l’acquisto di un prodotto o un servizio. Questi termini costituiscono oggi parte integrante del glossario del marketer e in sostanza identificano un modello di vendita che parte da un presupposto semplice: nessuno è disposto ad acquistare un prodotto o un servizio immediatamente, non appena gliene giunge notizia.
Secondo una nota statistica il 97% dei visitatori di una pagina e-commerce la abbandona senza avere acquistato. Il convincimento dell’utente matura per gradi. Invece che lasciare che questo accada spontaneamente, correndo il rischio che non accada affatto, si definisce una strategia di accompagnamento della persona verso quella che si auspica sarà la sua decisione finale e definitiva: acquistare. Ma anche, come vedremo alla fine di questo articolo, apprezzare il brand così tanto da fargli pubblicità e comprare ancora.
Il significato di funnel marketing, così come introdotto nel 1985 da Robert Miller e Stephen Heiman nel libro “Strategic Selling”, potrebbe dunque essere riassunto così: un insieme di processi attraverso i quali un utente sconosciuto si trasforma in un cliente e poi in un promotore di un certo brand.
Se l’argomento ti interessa resta ancora con noi, stiamo per portarti dentro i sale funnels.
Marketing funnels: cosa fanno, dove vanno (o dovrebbero andare)
La parola è il solito inglesismo, uno di quei tecnicismi gratuiti di cui potremmo fare a meno facilmente (per mettere il lettore a proprio agio abbiamo deciso di completare il piatto con un’altra ovvietà, il meme qui sopra). Come tutte le parole inglesi che entrano a far parte della nostra lingua, tra l’altro, conserva la forma senza la “s” anche al plurale: è quindi corretto dire funnel e non funnels e ci scusiamo con i lettori se, per esigenze SEO, ci concederemo questa licenza poetica.
Il termine può comunque essere tradotto in italiano come imbuto di vendita. Non è avanguardia pura: già da molti anni si guarda al funnel marketing come ad una soluzione miracolosa al “problema delle vendite” e della crescita aziendale.
Dopo l’iniziale successo in molti hanno cominciato a ritenere questo sistema inadeguato a spiegare l’affascinante complessità dell’insieme di azioni, eventi e sottigliezze psicologiche della customer journey, che conducono una persona che nulla sa del marchio a comprare ciò che produce e, magari, affezionarsi. Tuttavia non si può dire che questo modello sia inutile, proprio perché ci permette di spiegare semplicemente un processo complesso (e anche perché, se ben applicato, dà dei risultati). Approfondiamo un po’.
I sales funnels sono dunque, come anticipato, percorsi digitali e non con cui si guida l’utente verso l’acquisto. Inconsapevolmente ognuno di noi è parte di svariati funnels: può succederci di entrare negli imbuti, per esempio, quando ci iscriviamo a una newsletter o quando mettiamo “mi piace” a una pubblicità che ci ha raggiunti su Facebook. Naturalmente non è detto che i brand che ci propongono la pubblicità o l’iscrizione alla newsletter stiano effettivamente applicando il modello dei funnels, ma è una possibilità (qualcuno sta facendo funnel marketing senza nemmeno averne sentito parlare!).
La metafora figurativa dell’imbuto aiuta ad afferrare facilmente il concetto alla base del significato di funnel marketing. L’imbuto è largo sopra e consente l’ingresso a una moltitudine di utenti: sono persone che sono entrate in contatto con il prodotto o il servizio, appena consapevoli -almeno in questa fase- della sua esistenza. Ma quanti di loro attraverseranno tutto l’imbuto e ne usciranno con il prodotto o il servizio tra le mani? Una piccola percentuale.
Secondo il modello AIDA i marketing funnels sono costituiti da alcuni step o passaggi obbligati. AIDA è infatti acronimo per “Attenzione, Interesse, Desiderio, Azione”.
Nella fase dell’attenzione gli utenti entrano in contatto con il prodotto o il servizio: può succedere grazie al passaparola ma si tratta soprattutto di contenuti sponsorizzati sui social media, su Google o in televisione. Anche se siamo solo sul suo bordo superiore (ToFu, ovvero top of the funnel) l’imbuto si sta già restringendo! A quanti messaggi pubblicitari siamo infatti sottoposti ogni giorno? Quanti di questi fanno centro e catturano effettivamente la nostra attenzione? Oppure quante pubblicità ci propongono prodotti di cui non sentiamo affatto l’esigenza?
Durante la fase d’interesse gli utenti eseguono ricerche su quel prodotto: verificano cioè se è vero che risolverà il loro problema. Se il brand ha lavorato bene può darsi che già in questa fase gli utenti siano disposti a lasciare alcune informazioni di contatto, come l’indirizzo e-mail, in cambio di contenuti di maggiore valore (una guida digitale, una consulenza gratuita, ecc.), in una logica do ut des.
All’interno dei funnels ogni gradino costituisce un ampliamento, dei dati personali che l’utente è disposto a condividere con l’azienda e del valore offerto dall’azienda. Il middle of the funnel è quindi il tempo deputato alle azioni di nurturing, durante il quale l’azienda deve emergere sfoderando le sue armi migliori. Anche perché, a meno che il prodotto non sia unico al mondo, in questa fase gli utenti valutano anche l’offerta della concorrenza.
Gli utenti ormai convertiti in lead (ovvero contatti da gestire) devono adesso ricevere altre rassicurazioni, incoraggiamenti ben motivati e circostanziati all’acquisto del prodotto, come la condivisione di casi studio e recensioni di chi è già cliente. È la fase del desiderio: qui il semplice interesse viene convogliato verso l’identificare il prodotto come migliore soluzione al proprio problema.
Segue adesso l’invito all’azione: nel bottom of the funnel il cliente è ormai del tutto persuaso delle informazioni raccolte e anche una leva blanda come un piccolo sconto possono determinare la conversione.
Dopo la conclusione della transazione, se il cliente resta al centro dell’attenzione del brand perché, per esempio, continua a ricevere qualcosa di utile per lui, è più alta la probabilità che ne diventi un ambasciatore e resti a lungo fidelizzato.
Ma perché il modello proposto dai marketing funnels si è rivelato vantaggioso? Perché per qualunque tipo di marchio comprendere in quale fase si trova un cliente potenziale è importante per calibrare quantità, qualità e frequenza dei contenuti pubblicitari.
I marketing funnels sono un modello superato?
Se fino ad alcune decine d’anni fa la pubblicità sparava nel mucchio nel tentativo di attrarre, prima o poi, chi era davvero interessato al suo oggetto, i marketing funnels tracciano una strada diversa. Una volta isolato un gruppo di suspect il messaggio diventa estremamente mirato.
Tutta la strategia che sta alla base dei sale funnels richiede anche un lavoro di misurazione delle metriche e definizione del target: il cliente ideale ha caratteristiche ben definite, che vanno individuate e analizzate prima di intraprendere qualsiasi azione di marketing. Lo stesso spirito analitico deve caratterizzare ogni fase dei funnels.
Questo modello di vendita ha dunque insegnato molto ai marketers, ma nel corso del tempo qualcuno ha iniziato a sottolinearne il principale difetto.
Ovvero il fatto di relegare il potenziale cliente in una posizione di passività, come se le persone che escono dai funnels siano prive di qualsiasi forza trainante verso chi, invece, ci sta entrando adesso.
Naturalmente non è così perché chi ha già fatto un acquisto può testimoniare un’esperienza positiva o negativa. Quel che conta davvero quindi non è quanti clienti escono dai funnels ma, piuttosto, lo stato d’animo con cui ne escono. In molti invece si concentrano sulle azioni che abbiamo descritto ma non tengono per nulla in considerazione i clienti in quanto persone e il ruolo determinante che essi giocano, nel bene o nel male, per la crescita dell’azienda e in un’ottica di lungo periodo.